MAX MASTRANGELO

Max Mastrangelo

Max Mastrangelo

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Il coraggio e la forza di cambiare

Chi ha detto che il fine giustifica i mezzi, ha dimenticato di sottolineare che i mezzi determinano il risultato.

Quando tra i mezzi vi sono degli esseri umani, ognuno di essi – fosse anche il meno responsabile dal punto di vista delle sue mansioni – esercita un’influenza determinante sul raggiungimento del risultato.

In ordine a cambiare in meglio il livello qualitativo del risultato, è strettamente necessario che ogni “mezzo” umano adibito all’operazione sia pronto a cambiare la sua attitudine di fondo tante volte quante ciò sia necessario, fino al raggiungimento dell’obiettivo.

Cambiare, in seno ad un’organizzazione, significa sempre interagire.

Interagire nel manovrare il cambiamento assieme agli altri richiede il coraggio di scomporsi e ricostruirsi per andare a costituire un’entità collettiva, abbandonando la primitiva essenza di entità individuale usa a negoziare piuttosto che a co-interpretare.

Il premio che – professionalmente – spetta a degli individui pronti a “fondersi” intelligentemente in una nuova entità collettiva e funzionale è l’identificazione personale con i risultati di tutta l’organizzazione.

“Io sono Samsung/Apple/Ferrari/BMW/(…), in quanto l’ottimo risultato di tutta l’organizzazione è dato dall’apporto inscindibile di tutti; ognuno di noi, individualmente, è un uomo della strada. Insieme diventiamo un’entità vincente il cui prestigio si riverbera in parti uguali su ognuno di noi…”

Il modo in cui le persone interagiscono in una data situazione rappresenta ciò che rende quelle persone uniche.

Il modo in cui le dinamiche economiche, produttive, finanziarie e di servizi interagiscono è ciò che crea – nel contesto di tali dinamiche – la differenziazione e gli eventuali vantaggi competitivi che ne dovessero discendere.

Tali interazioni sono processi; una serie di azioni, cambiamenti, funzioni o persino non-azioni che sono dirette ad un certo risultato, o che – secondo quale sia il grado di governo a cui siano soggette – costringono i loro protagonisti ad ottenere un certo risultato in luogo di quello che avrebbero voluto ottenere.

In una parola, i processi attraverso i quali il risultato viene perseguito sono la causa prima di successo o insuccesso nel perseguimento di tale risultato.

Vi sono processi dall’aspetto semplice e intuitivo, quali porre una domanda o inoltrare sistematicamente un dato tipo di informazione ad un collega, e ve ne sono altri meno facili, quali la fabbricazione di un prodotto o l’elaborazione di una strategia di attacco ad un mercato estero al quale l’azienda voglia affacciarsi.

Quali che siano le loro caratteristiche, non esistono in un’azienda processi che siano perfettamente identici ad analoghi o simili processi iterati in un’altra azienda, sia pure essa – per collocazione sul mercato e requisiti individuali – del tutto omologabile alla prima. Ogni processo osservato in qualsiasi azienda, presenta un suo grado di unicità che – per molti ottimi motivi che vedremo in seguito – è ineluttabile, fisiologico.

L’ineluttabilità, la fisiologità di tale unicità di processi ha alla sua base l’unicità degli esseri umani stessi che di tali processi sono i protagonisti.

Un’eventuale azione di standardizzazione sovra-aziendale dei processi gestionali e produttivi può portare ad un significativo riordino dei canali di comunicazione interaziendali, e anche a un notevole efficientamento, ad un significativo miglioramento della produttività delle aziende singolarmente valutate, ma non può – di fatto – rendere perfettamente identica l’operatività comparata di due aziende, dal momento che gli esseri umani che vi operano non sono androidi né robot, e rappresentano quindi una significativa e scarsamente prevedibile variabile in grado di influire visibilmente sui processi stessi.

A rendere efficace il canale di comunicazione tra più unità produttive e gestionali di una stessa azienda, e conseguentemente tra più aziende, ora disponiamo di ERP, CRM, Supply Chain Management.

Hanno consentito alle aziende del secondo decennio del terzo millenio di conseguire la quasi totale liberazione dei processi interni da costrizioni logistiche di tipo fisico, quali i viaggi del personale, l’interscambio di informazioni con mezzi diversi dalla rete o le riconciliazioni extra-contabili.

Questo non ha “disumanizzato” e non disumanizzerà le nostre aziende, che anche nel 2030 saranno (fortunatamente) popolate di esseri umani, con la loro unicità e – perché no – tutti i vantaggi derivanti dai loro talenti personali; ciò che – invece – costituirà un importante primo obiettivo di medio termine sarà la standardizzazione di metodologie attraverso le quali far si che gli esseri umani pongano efficacemente i loro talenti personali al servizio dell’organizzazione che li ha accolti, utilizzando tempi e modi i più efficienti possibili, con l’obiettivo di far confluire il risultato di azioni così intelligentemente processualizzate attraverso le contabilizzazioni dei sistemi ERP di ogni generazione, in grado di trasformare – alfine – l’operato dell’organizzazione in un dato complesso, standard e costantemente aggiornato, prontamente fruibile sia all’interno, sia all’esterno dell’organizzazione aziendale.

Si parlava, dunque, del 2030..

Allora, come oggi, sebbene l’ottimizzazione delle metodologie di gestione dei processi interni, nonché il potenziamento dei sistemi informatici al servizio del business avranno – come sopra già esposto – alleggerito l’operatività quotidiana da gran parte delle pesantezze di ordine logistico e comunicativo che ancora oggi caratterizzano la vita aziendale;   i processi che non sarà fisiologicamente possibile privare di una loro fondamentale parte logistica e “fisica” continueranno ad essere la parte più ostica, la più impegnativa in termini di mantenimento dei livelli di qualità ai quali non sarà più opzionale adeguarsi, pena l’uscita dal mercato.

Tali processi, anche nel futuro, potranno identificarsi in tutte quelle tipologie di evento operativo quotidiano che esigono una trattazione fisica di prodotto, quali:

–          acquisto di materiale

–          fornitura di materiale

–          vendita di prodotti

–          realizzazione di prodotti per conto terzi e successiva cessione del prodotto

–          le interazioni conseguenti ai processi di acquisto, fornitura, vendita (il comportamento delle persone, la preponderanza di interesse nell’uno o l’altro segmento di un processo, le conoscenze delle persone, le loro capacità).

Si tratta di processi già oggi abbastanza complessi da gestire; e lo sono talmente, che il grado di complessità degli stessi sotto processi che li compongono può portarci a perdere di vista il processo principale del quale sono parte.

Come potremo, dunque, da oggi e in prospettiva, far si che la pesantezza di taluni sottoprocessi non ci faccia perdere di vista l’efficienza e l’efficacia dei processi principali e – pertanto – il loro stesso valore?

E’ troppo frequente – per quanto fisiologicamente un sistema economico possa sopportare – la tendenza delle organizzazioni produttive (specialmente di quelle medio-grandi) ad aggirare il problema dell’eccessiva macchinosità creatasi nei processi sopra descritti attraverso un atteggiamento impositivo e fatalistico (noi questa cosa la facciamo così.. da noi succede così ed è impossibile cambiare..)

Questa sorta di refrattarietà al cambiamento conduce, molto spesso, alla frammentazione dei processi tra diverse applicazioni e/o diverse istanze della stessa applicazione, con il risultato che – nelle pieghe di tale frammentazione – la spina dorsale del processo originario viene definitivamente e irrimediabilmente persa.

In tale situazione è quasi fisiologico e consequenziale che i sistemi informatici che sono stati adottati per essere la risposta a tale frammentazione finiscano essi stessi per essere frammentati, con l’esito di far definitivamente scomparire un processo che dovrebbe essere alla base di una corretta iterazione economica, finanziaria o logistica, fondamentale alla buona riuscita dell’oggetto aziendale.

Può essere la strada dell’integrazione dei dati tra tutti questi frammenti quella giusta al fine di recuperare la piena funzionalità di processi vitali all’azienda?

Si sono osservati, in passato, metodi di approccio quali EAI (Enterprise Application Integration), che rappresenta una mera, seppur sofisticata, azione di interconnessione dei dati tra frammento e frammento, nel contesto della quale azione di interconnessione, tuttavia, la problematica della visione del quadro generale non è contemplata.

Una sorta di “bus” di trasporto fa fluire i dati, li converte, li indirizza, li assembla tra frammento e frammento processuale, ottenendo così una forma di integrazione la quale, tuttavia, non riesce ad impedire che i processi oggetto dell’azione di “incollatura” rimangano frammentati e nascosti nelle singole aree aziendali, e che i dati che sono la conseguenza di questa operatività scoordinata e inefficiente continuino a rimanere non altro che il risultato di azioni scoordinate e povere in efficienza.

In una parola con metodi come EAI vi è flusso di dati, ma non di processi (che sono e rimangono gli elementi fondamentali di un sistema economico).

Ciò comporterebbe non secondarie considerazioni in tema di etica del lavoro, dal momento che – visto nella sua pura essenza – un sistema di questo tipo è prima di ogni altra cosa uno strumento di cura e non di prevenzione, una sorta di chirurgo di emergenza sempre pronto a ricucire le ferite che ogni giorno l’operatività incongrua di certi responsabili apporta al sistema.

Meglio sarebbe fare prevenzione; insegnare a tali responsabili a non ferire il sistema a cadenza quotidiana, o estrometterli del tutto dai processi nel caso in cui risultassero ostili e/o resistenti al necessario e salutare cambiamento.

In altre situazioni, l’incongruenza dei processi interni (alla fonte dei quali, non dimentichiamolo mai, vi sono sempre esseri umani), viene solo parzialmente risolta aggirando, ancora una volta, l’ostacolo della reingegnerizzazione attraverso l’interconnessione acritica di applicazioni differenti. Un esempio: arriva un ordine da un cliente.

Un’applicazione di CRM (Customer Relationship Management) registra l’ordinativo e invia una richiesta di controllo al sistema gestionale del magazzino per controllare l’esistenza in stock dell’articolo ordinato. Il sistema gestionale di magazzino appura in automatico l’esistenza della disponibilità e, prima di rinviare al sistema di CRM l’approvazione dell’ordine, compie una breve verifica con la piattaforma di gestione ordini/pagamenti dell’azienda sull’esistenza o meno di fatture spiccate allo stesso cliente il cui pagamento risulti in ritardo o rigettato.

Una volta ottenuto l’OK dal reparto finanziario, il sistema di magazzino invia al CRM l’approvazione dell’ordine, il quale invia al sistema della divisione Operations l’istruzione di evadere l’ordine; quest’ultimo sistema, interloquendo con l’applicazione della divisione finanze per la relativa fatturazione, coordina la spedizione e presidia tutte le ultime fasi di transizione del prodotto ordinato, dal magazzino del fornitore a quello del cliente.

Nel quadro esemplificativo appena tracciato, le macchine interloquiscono tra loro escludendo ad ogni livello l’intervento umano e non lasciando spazio alcuno per le possibili variabili che caratterizzano la quotidiana operatività di un’azienda, ma soprattutto la sua relazione con il cliente (bene importante al di sopra di ogni altra cosa, tra gli assets immateriali dell’azienda).

Qualora, nel caso dell’esempio appena descritto, un cliente avesse rigettato – a pieno titolo – il pagamento di una fattura in quanto emessa con errori o per errore, nel caso in cui l’ordine successivo intervenisse prima dell’emissione della nota di credito da parte del fornitore il sistema rigetterebbe in automatico l’ordine al cliente, azione inutilmente sgarbata e foriera di problemi nella relazione commerciale. L’eventuale telefonata di scuse successiva all’incidente porrebbe il responsabile che se ne facesse carico nel doppio imbarazzo di doversi scusare per un’inutile offesa, e di dover implicitamente ammettere con il cliente la difettiva operatività del fornitore.

In un esempio di segno contrario, nel caso in cui un cliente facesse abitualmente un uso contrattualmente scorretto dei beni acquistati dal fornitore (sub-fornitura o ridistribuzione non autorizzate ecc..), usufruendo di un sistema di evasione degli ordini completamente automatizzato gli basterebbe essere in regola con i pagamenti precedenti per vedersi automaticamente recapitare altra merce della quale continuare a fare, sul mercato, un uso non autorizzato dal produttore, a meno che nel sistema non fosse presente la possibilità di apporre su un dato cliente un “flag” per inviarlo ad una sorta di lista nera, che tuttavia continuerebbe a richiedere il monitoraggio critico di uno o più esseri umani per essere correttamente gestita.

CREARE IN AZIENDA IL GOVERNO DEI PROCESSI

La vera arma vincente che un’azienda ha oggi, e – in modo sempre più marcato – avrà in futuro, è e sarà la capacità di governare non già i sistemi informatici (anch’essi strumento irrinunciabile e fondamentale di progresso), ma – prima di essi – i processi operativi interni.

Nel futuro non vi è spazio sul mercato per le aziende che non abbiano la forza di orientare la direzione dei loro macro e micro processi interni; nello scenario del futuro non esistono aziende in cui uno o più responsabili puntino i piedi e si oppongano ad un alto grado di flessibilità operativa, focalizzata al risultato e saldamente cliente-centrica.

O così, o fuori dall’azienda; e se non sarà così sarà l’azienda ad uscire dal mercato, come un Titanic che affondi con a bordo tutti gli ufficiali e l’equipaggio, parte dei quali del tutto innocente.

La capacità di governare e orientare rapidamente i propri processi interni conferisce a tutto il sistema grande visibilità, gestione qualitativa, efficienza di costi e tempi sia nelle interazioni interne, sia in quelle esterne.

La capacità di analizzare, ridisegnare ed applicare nuovi processi interni si deve necessariamente accompagnare a quella di creare solide e logiche interconnessioni tra essi, e – conseguentemente – alla conoscenza di metodologie che – applicate con intelligenza e costanza – permettano di conseguire con successo questo nuovo e necessario Stato di Grazia.

La creazione di corrette sinergie tra processi interni e tecnologie disponibili all’azienda richiede la necessaria presenza di tre componenti:

–          Analisi

–          Blueprint

–          Tecnologia

Una volta localizzati e “afferrati” questi tre fondamentali bandoli della matassa, saremo in grado di affrontare la ridisegnazione della nostra organizzazione con maggior consapevolezza e con un maggior grado di efficacia, qualunque – dopo le nostre prime riflessioni – sia il grado di profondità che avremo attitudine a conferire alla nostra azione di reingegnerizzazione.

E’ bene riaffermarlo: le reingegnerizzazioni dei processi che puntano più in alto, quelle che hanno maggiori possibilità di far compiere all’azienda un salto di qualità significativo ed epocale, sono quelle che pongono in cima ad ogni altro obiettivo quello di far aderire l’organizzazione – perfettamente ed accuratamente – alla causa ultima della maggior qualità possibile della propria azione economica, industriale e commerciale.

Umanamente parlando, si può ben comprendere (meno giustificare), la tendenza delle scuole di pensiero semplificatrici, quelle che vorrebbero trovare un punto di equilibrio tra le esigenze della soddisfazione del cliente e quelle della strumentazione tecnologica.

L’azione dei reingegnerizzatori in aziende ove tali scuole di pensiero abbiano avuto la meglio, finisce per tradursi in adattamenti più o meno felici (ma mai completamente efficaci) della realtà aziendale esistente alle architetture di sistemi recentemente adottati, spesso di concezione avanzata, ma – in questa eventualità – mai eccellentemente impiegati per quelle che sono le loro potenzialità.

L’azione del forzare le vecchie procedure nella griglia di nuovi sistemi informatici è – concettualmente – indiscutibilmente sbagliata: i sistemi di pianificazione delle risorse dell’impresa nascono non già allo scopo di velocizzare l’incongruenza per attutire i ritardi che costituiscono il suo fisiologico portato, dando così a tutta l’organizzazione un maggior polmone di tempo al fine di correggerne i risultati insoddisfacenti ; essi nascono avendo già insite le cosiddette “best practices” proprio per far si che l’impresa disponga di un eccezionale strumento di guida, in grado di traghettare con velocità ed efficienza tutta l’organizzazione ad un comportamento qualitativo e focalizzato alla soddisfazione del cliente.

Ecco il preciso momento in cui l’attività di Business Process Reengineering diviene uno dei mattoni irrinunciabili nella costruzione della qualitativa organizzazione del futuro: essa sta all’adozione di un sistema di Enterprise Resource Planning, come – per un essere umano – la necessaria dieta e la maggior attività fisica stanno all’acquisto di un abito di due taglie inferiore.

Andreste ad acquistare un abito di Valentino di due taglie inferiore alla vostra, per poi portarlo da qualunque sarto di periferia per posticci e poveri adattamenti al fine di vedervelo calzare indosso?

Sarebbe un’azione del tutto illogica e foriera di costi inutili: essa comporterebbe il costo dell’abito, più il costo degli adattamenti, al fine di ottenere un risultato povero e insoddisfacente nel guardarvi allo specchio con il vostro nuovo, costosissimo, capo firmato e successivamente modificato.

Tale operazione può benissimo paragonarsi alle astruse e illogiche tattiche di chi spende ingenti fondi aziendali per portarsi in casa SAP, Oracle o qualsiasi altro sistema gestionale non di certo in svendita, per poi sguinzagliare customizzatori privati – spesso giovani e inesperti – sulla personalizzazione di transazioni, tabelle e flussi operativi “che non è possibile, per nessun motivo, cambiare”, con il risultato finale di veder velocizzati.. i propri errori gestionali.

Meglio sarebbe, nell’acquistare un abito di Valentino, diminuire le proprie entrate alimentari e aumentare le proprie uscite, con adeguata attività fisica e cura della persona, al fine di fare la propria splendida figura una volta entrati nel capo firmato dal grande Maestro.

Ecco un modo intelligente di investire il proprio denaro al fine di migliorare la propria immagine!

Facciamo si, pertanto, che prima di una qualsiasi, ormai doverosa, iniezione di nuove tecnologie, sia la nostra organizzazione ad entrare in palestra, e a ragionare con necessaria capacità analitica sul modo in cui si alimenta e sulle azioni che ne dissipano (o non ne dissipano) le energie disponibili.

Pensate che, dopo un’ondata selvaggia e dissennata di cosiddette “personalizzazioni”, un nuovo sistema informatico può finire per costare il doppio e diminuire ad un solo decimo il suo periodo di effettiva utilità in azienda!

Dopo la modificazione di un codice standard, una nuova release emessa dal produttore del sistema e consegnatavi gratuitamente (per precisi obblighi contrattuali), non potrà essere installata nelle vostre stazioni di lavoro se non attraverso ulteriori personalizzazioni, costose non solo in denaro contante, ma anche in termini di tempo; giorni e settimane che vi avvicineranno inesorabilmente all’emissione della prossima release, quando… sarà ora di spendere da capo.

Un po’ di anni fa, un simpaticissimo filosofo televisivo se ne usciva spesso con sentenze tipo: “è meglio passare un mese da ospiti in un grand hotel, piuttosto che pagarsi una settimana di vacanza in tenda canadese in un camping super affollato”.

C’è qualcuno che oserebbe dargli torto? Difficile trovarlo (perlomeno tra i cosiddetti sani di mente).

Potremmo simpaticamente parafrasarlo sentenziando che “è meglio spendere una cifra ragionevole per avere un’azienda che funzioni bene, piuttosto che spendere tre volte tanto e ritrovarsi tra le mani un’azienda che funzioni in modo pessimo e dispersivo”.

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